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Ubriaco d'amore (2002)


Ubriaco d'amore

(Punch-Drunk Love) USA 2002, commedia, 1h35'


Regia: Paul Thomas Anderson

Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson

Fotografia: Robert Elswit

Montaggio: Leslie Jones

Musiche: Jon Brion

Scenografia: William Arnold

Costumi: Mark Bridges


Adam Sandler: Barry Egan

Emily Watson: Lena Leonard

Philip Seymour Hoffman: Dean Trumbell

Luis Guzmán: Lance

Mary Lynn Rajskub: Elizabeth


TRAMA: Barry Egan ha una piccola attività. Le sue sette sorelle lo bistrattano continuamente, considerandolo un fallito e facendolo sentire solo e incapace di avere una relazione sentimentale. Quando un armonium e una donna misteriosa entrano nella sua vita, ha inizio il suo viaggio nell'universo amoroso.


Voto 7,5


Le storie d’amore si possono raccontare con un numero infinito di modi ma questo del geniale Paul Thomas Anderson è davvero unico e se il film è considerato particolare lo si deve a diversi fattori: la trama, la disfunzionalità della storia e del personaggio, la difficoltà fisiche e mentali che questi deve superare per non dico iniziare un rapporto ma almeno avvicinarsi in maniera normale alla sua innamorata. Poi ci aggiungiamo la fotografia, dai colori orizzontali e accesi, come la fabbrica che lui possiede - d’altronde anche la periferia di Los Angeles inquadrata è piatta e orizzontale -, il ritmo continuo di un commento musicale eccezionale, che batte alle nostre orecchie come le idee continue che vengono al protagonista. Il quale è di per sé un soggetto tutto da studiare: Barry Egan ha sette sorelle, una personalità complicata e una passione per la raccolta delle miglia aeree. Single e instabile, perfino con le ragazze delle hot line fatica a instaurare un contatto, finché un giorno s’innamora di Lena. I suoi dipendenti lo conoscono per quello che è e lo guardano appena, abituati alle stranezze. La sua vita è monotona ed evita perfino le ricorrenze con le sorelle, che nonostante tutto lo coccolano e cercano di offrirgli un’occasione per metter su famiglia. La festa in famiglia a cui Barry partecipa è degna delle migliori gags dei grandi comici del bianco e nero. La svolta avviene quando, un giorno (all’alba!), passa davanti alla sua fabbrica una macchina a tutta birra che si rovescia e da un'altra macchina depositano una pianola. Lui osserva, nervoso e scattante, non sa che fare, poi si decide e porta dentro al capannone lo strumento. Se questo è l’incipit, figuriamoci il resto.



Anderson sceglie come attore un vero comico, un enorme Adam Sandler, il quale però non è che si deve adeguare a chissà quale copione. No, lui sarà il solito mattacchione, non si distanzia tanto dalle sue ordinarie esibizioni: se il suo modo di comportarsi sembra (e lo è) disfunzionale, è con gli sguardi fissi e inespressivi (che invece dicono tanto, bisogna solo saperlo leggere) che dà il meglio di sé. Il regista usa alla perfezione la sua fisicità, incatenandoci alla storia che noi troveremo sempre imbarazzante e imprevedibile, senza riuscire minimamente a immaginare come potrà andare a finire. Come contraltare Anderson pone una donna tutta all’opposto. La Lena di Emily Watson è di una dolcezza unica, è semplice e comprensiva e innamorata di quello strano tipo. Perché, come in tante storie d’amore che si rispettino, l’amore scoppia a primo sguardo, al primo contato, anche se nessuno dei due lo dà a vedere.



Il problema principale di Barry è che vive continuamente fuori sincrono con la realtà, per cui anche le sue manifestazioni sentimentali verso Lena arrivano magari con qualche minuto di ritardo, le decisioni non possono essere immediate. Motivo per cui assistiamo a decisioni e a ripensamenti, a fughe e ritorni, sempre ben lette da Lena: sembra un cartone animato. E forse lo è davvero. A dar man forte alle varie sequenze c’è appunto la musica straordinaria di Jon Brion (sue le note anche di Sydney e Magnolia, dello stesso regista), i cui ticchettii nervosi accompagnano alla perfezione l’atmosfera e i gesti di quell’uomo. La fotografia di Robert Elswit è consona, è un’ulteriore esaltazione delle scelte del regista. A distanza quindi di tre anni dal successo di Magnolia, riecco Paul Thomas Anderson intento a spiegarci le difficoltà per rendere comprensibili gli avvenimenti umani, i comportamenti di taluni individui, della complessità dei rapporti sociali, specialmente di quei soggetti un po’ particolari. Ci aveva lasciati nel finale di Magnolia che piovevano rane e nell’introduzione già accennata di questo Punch-Drunk Love troviamo il protagonista Barry imbarazzato davanti ad un armonium “piovuto” da un furgone in corsa: Barry è probabilmente il tipo più anomalo della ricca collezione dei personaggi di Anderson. Il quale (chi scrive lo ama alla follia) realizza quindi una commedia assurda e perfettamente in linea con la mente del protagonista: oltre a fornirgli dialoghi da commedia irrazionale che divertono moltissimo, gli punta addosso l’obiettivo, mentre il resto lo fa un Adam Sandler superlativo che non deve far altro che se stesso, aggiungendo alla sua abilità di comico il solito talento drammatico-surreale che spesso si nasconde sotto la scorza di tanti attori comici.



Oltre alla solita deliziosa Emily Watson, è da segnalare un altro personaggio, quello del compianto Philip Seymour Hoffman, capace di ricavarsi una nicchia tutta sua in un altro ruolo della sua nutrita galleria, e ancora una volta in un film di P.T.A., immancabilmente.



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