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Il Re (2019)



Il Re

(The King) UK/Ungheria/Australia 2019 biografico 2h20’


Regia:David Michôd

Sceneggiatura: Joel Edgerton, David Michôd

Fotografia: Adam Arkapaw

Montaggio: Peter Sciberras

Musiche: Nicholas Britell

Scenografia: Fiona Crombie

Costumi: Jane Petrie


Timothée Chalamet: Re Enrico V

Joel Edgerton: John Falstaff

Robert Pattinson: Luigi, delfino di Francia

Ben Mendelsohn: Re Enrico IV

Sean Harris: William Gascoigne

Lily-Rose Depp: Caterina di Valois

Tom Glynn-Carney: Henry Percy

Thomasin McKenzie: Filippa di Lancaster

Dean-Charles Chapman: Tommaso di Lancaster

Andrew Havill: Arcivescovo di Canterbury

Ivan Kaye: Lord Scrope


TRAMA: Hal, principe ribelle e riluttante erede al trono britannico, ha voltato le spalle alla vita di corte preferendone una tra la gente comune. Alla morte dell'autoritario padre, Hal viene proclamato re col nome di Enrico V e obbligato a vivere quell'esistenza che in passato aveva cercato di abbandonare. Il giovane re deve destreggiarsi tra la politica di palazzo, il caos e la guerra ereditati dal padre e fare i conti con i legami emotivi della sua vita precedente, tra cui il rapporto con il suo più caro amico e mentore, l’anziano baronetto alcolizzato John Falstaff.


Voto 8


RIFERIMENTI STORICI

Enrico di Monmouth, per la Storia Enrico V (1387 /1422), fu re d'Inghilterra dal 1413 alla sua morte e nonostante abbia regnato soltanto per nove anni la sua azione politico-militare fu molto importante nello scacchiere europeo, tanto da renderlo uno dei più popolari sovrani del Medioevo. Fu infatti capace di portare nuovamente il regno d'Inghilterra tra le prime potenze europee grazie alla brillante vittoria conseguita ad Azincourt sui francesi, in seguito alla quale riuscì a farsi nominare erede del trono di Francia. Se è divenuto un personaggio importante anche dal punto di vista letterario e teatrale, oltre che storico, lo si deve – aldilà dei tanti studiosi storici che se ne sono occupati - al più grande drammaturgo di sempre, William Shakespeare, che scrisse di lui come del padre Enrico IV.

Il dramma prende spunto proprio dalle vicende del Re nel periodo in cui si distinse per aver conquistato la Francia dopo aver vinto la battaglia decisiva ad Azincourt, località nel dipartimento del Passo di Calais, dopo che il suo esercito, ormai stanco e affamato era sbarcato dall’Inghilterra. Per Shakespeare è l'opera conclusiva della tetralogia detta enrieide o tetralogia maggiore, iniziata con Riccardo II e proseguita con Enrico IV, divisa in due parti. Il dramma storico è composto da una introduzione recitata da un coro (tradizionalmente interpretato da un solo attore) e da cinque atti.


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Il cinema ha sempre trovato ispirazione dalle innumerevoli opere di Shakespeare ma la figura di questo re lo è particolarmente, basti pensare che di Enrico V si occuparono Sir Laurence Olivier nel 1944 e Kenneth Branagh nel 1989. Quindi inglesi purosangue, come normale che sia.

Chi se ne interessa questa volta sono invece due australiani che avevano già avuto nel 2010 una interessantissima esperienza assieme, nell’eccellente Animal Kingdom (recensione): il regista David Michôd e l’attore Joel Edgerton, qui in veste anche come sceneggiatore, attività che lo sta portando da tempo ad ottimi livelli. È un’accoppiata vincente, è un binomio che potrebbe produrre anche nel futuro altre opere di buona qualità, proprio come il film in oggetto. Due australiani alla corte d’Inghilterra, per dirla con Mark Twain, quindi, ma con diversi attori britannici nel cast, che vede oltre all’eccellente protagonista Timothée Chalamet il londinese Robert Pattinson, pur se in un ruolo non di primo piano, il concittadino Sean Harris e l’altro britannico Tom Glynn-Carney.

Michôd, sulla base di un buonissimo script scritto appunto assieme a Edgerton, ha saputo con molta intelligenza ricreare la giusta atmosfera di quei tempi medioevali, disegnando alla perfezione in 140 minuti i personaggi della Storia che Shakespeare ha immortalato, tanto che, pur se ignoranti delle vicende, alla fine della visione veniamo bene a conoscenza sia del periodo che delle figure importanti implicate. Su tutti emerge appunto la grande personalità di Enrico di Monmouth, figlio di Enrico IV, giovane principe di Galles, chiamato nel dramma col soprannome di Hal, delineato come un giovane in piena evoluzione psicologica. Infatti, quando il giovanotto venne richiamato al capezzale del padre morente, era tutt’altro che una persona posata: viveva lontano dalla corte reale e conduceva una vita sregolata, era estremamente impulsivo e dedito alle gozzoviglie, ma quando dovette assumersi le sue responsabilità sul trono d’Inghilterra maturò all’improvviso dimostrandosi saggio e intelligente, addirittura dotato di virtù indispensabili per farsi rispettare anche nell’etica cavalleresca. Ebbe forte senso della giustizia, della religione, risoluto e sicuro delle decisioni che assumeva. Il popolo lo apprezzò ben presto, impressionato anche dal vigoroso discorso che egli tenne alle truppe alla vigilia della famosa battaglia, orazione che fu un vero capolavoro di retorica patriottica e nazionale, esaltando e spingendo i soldati a comportarsi da eroi. Per la grandezza dell’Inghilterra.


David Michôd riesce perfettamente nell’intento di illustrarci la grande personalità del giovane Re, mostrandoci un vero condottiero e un oculato capo di stato, oltre che timorato di Dio e sempre disponibile a sacrificare se stesso pur di limitare i danni verso la popolazione e le truppe del suo esercito. Incredibilmente incline a duellare personalmente in ogni occasione pur di evitare ogni battaglia cruenta: il primo a sacrificarsi per il bene di tutta la nazione. Benché sospinto dai consigli del subdolo William Gascoigne, il massimo esponente della Giustizia presso la corte, fu capace di giungere alla sconcertante verità e portare il popolo alla pace. Oltre a questa, un’altra persona ebbe molto ascendente e forte influenza nelle scelte e nella sua crescita di uomo e soldato: l’amico e mentore sin dai tempi balordi John Falstaff, altro mitico personaggio, presentato in questa occasione come un assennato omaccione pieno di sagge citazioni, mentre per la letteratura shakespeariana e la lirica fu solo un grasso e arrogante cavaliere, utile ad arricchire la fantasia dei racconti picareschi. Entrambi influenzeranno Enrico V, nel bene e nel male, in guerra e in pace, fino al loro tragico epilogo. All’opposto, il personaggio del Delfino di Francia, Luigi figlio di Carlo VI, è messo alla berlina e presentato presuntuoso e goffo come un giovanotto viziato e supponente, sublimato in una scena grottesca al termine della terribile battaglia in terra francese. Ruolo affidato ad un capelluto e improbabile Robert Pattinson che parla un francese ineccepibile e che si contrappone in contrasto alla austera serietà acquistata dal giovane re inglese. Due apparizioni brevi e via: più che altro un riconoscimento all’attore con cui il regista aveva girato il turbolento The Rover (recensione).


Adesso guardiamo al trio di attori che dominano il film.


In cima a tutti ovviamente il superlativo Timothée Chalamet, all’ennesima conferma del suo acerbo e già maturo talento recitativo, che mantiene l’aplomb che caratterizza le sue performances, che sa dosare l’intensità a seconda del caso e che sa ottimamente “esplodere” nel momento giusto, cioè nel fatidico, consigliato e attesissimo sermone alle truppe prima della battaglia, a pieni polmoni, bava alla bocca. Bravo! Il film, oltre che del valente regista, è tutto suo, in scena per la maggior parte delle sequenze, sempre sulla corda, sotto pressione, e direi anche a sorpresa, dopo averlo osservato nelle scene iniziali passare tutto il tempo tra sbornie, dormite solenni e donnine, senza alcuna voglia di cambiar vita. Un Enrico V da sottolineare!


Joel Edgerton è un eccellente John Falstaff: barba degna della iconografia del nome che porta, nasone di cui l’attore australiano è naturalmente dotato e che ben si sposa con la maschera congeniale e sguardi trasversali da bonaccione pieni di buonsenso e comprensione. Un bellissimo personaggio che si è scritto da sé e che ha saputo interpretare.


Sean Harris, l’attore caratterista che ci vuole sempre: invecchiando, i suoi occhi obliquamente ferini sono diventati un’arma impropria, ti guardano e ti soppesano, non sai mai cosa sta architettando la mente sopra quegli sguardi, è ambiguo fino al parossismo. Il suo William Gascoigne avrà gioco facile con quel fisico sbilenco, sempre presente nei momenti chiave, sempre pronto a dar consigli interessati, ma che solo nella scena madre finale (a cui Michôd dà inizio senza per nulla dare l’impressione che assisteremo alla soluzione decisiva, alla spiegazione definitiva, sembra una banale pulizia d’abito che invece assume le vesti metaforiche di una pulizia politica) si rivelerà per l’uomo che è veramente. Una sequenza che termina col colpo di grazia che solo un Re sa dare quando si toglie ogni dubbio: è come se il sipario del teatro si apra all’improvviso, fino a scoprire le quinte, dietro cui si nascondono gli scheletri. William è simbolicamente nudo, come i condannati sul ceppo. Enrico V vuole la pace, quella vera e duratura e la realizza proprio in questa occasione e solo dopo potrà guardare al matrimonio con la nipote di Carlo VI, la bella Catherine (Lily-Rose Depp), premio e bottino di guerra. Magnifico Sean Harris!


Se William Shakespeare ha voluto dimostrare come la pace si possa ottenere in due maniere ben differenti, con e dopo la guerra oppure con la civile convivenza e dopo la “pulizia” fatta in casa, se tutto ciò era il messaggio intrinseco nel dramma scritto dal Pardo tra il 1598 e 99, se la sua grande Arte letteraria incanta da secoli i teatri di tutto il mondo, David Michôd ci fa entrare magicamente in quel mondo realizzando un bellissimo film. In cui tutto trasuda di lotte intestine, di intrallazzi e di battaglie epiche. E quale battaglia! È sempre stato un regista di noir e di azione (e questo, se vogliamo, è anche un drammatico noir!) e tutta la sua esperienza la sa dimostrare nella bellissima e spettacolare battaglia di Azincourt, dove la macchina è raramente posta in alto se non per le necessarie panoramiche, ma la maggior parte delle riprese le effettua in mezzo ai soldati carichi di armature, spadoni e asce per farci vivere in prima fila il clangore delle trombe e i rumori dei ferri che si scontrano, il sangue che scorre e soprattutto il fango così viscido del campo di battaglia. Fango che assurge a primattore, prima come scelta del ginocchio di John Falstaff e poi come complice del Re inglese per irridere la pomposità del nobile nemico francese in arme che scende da cavallo andando incontro al suo destino. Una regia preziosa e impreziosita dalla cura dei particolari, dai chiarori di albe in controluce, dai primi piani di un viso giovane eppur tanto espressivo, dalle precise movenze degli attori di un fastoso cast, in cui si respira Medioevo a pieni polmoni. La ottima regia e la raffinata sceneggiatura stesa a quattro mani sono il connubio vincente assieme agli attori, su cui emerge il giovane franco-statunitense Timoteo, secondo me alla sua miglior prova finora vista. Maturo per il grande salto, che forse sta già compiendo. Nel frattempo, David Michôd dimostra che sa passare bene dal polveroso e assetato outback australiano al fango ungherese di questa location, dai banditi e sbandati australiani ai soldati in pesante ferraglia. E che ci fosse del buono nel progetto lo dimostra lo zampino tra i produttori di Brad Pitt, che ultimamente non manca mai quando il prodotto è di buona qualità.


Il titolo è breve, conciso e secco, con l’articolo determinativo: ce n’è solo uno, ed è Enrico V.


Joel Edgerton? Ha idee, chiare e vincenti: lui saprà andar lontano. Assieme al suo sodale David Michôd.



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